Il ritorno di Maragor


Ecco le prime pagine del primo libro che, vi ricordo, potete acquistare sul sito internet www.ilmiolibro.it.
Se l'anteprima vi è piaciuta ricordatevi che potete anche ordinare il libro mandando direttamente una mail a me. 
Se poi volete saperne di più scaricate direttamente i primi tre capitoli  qui 

Capitolo 1


Villa Regina


I due uomini camminavano silenziosamente lungo la strada che portava alla grande casa in cima alla collina. Era una strada stretta, poco illuminata e sembrava che nessuno la percorresse più da molto tempo. Due file ordinate di salici la incorniciavano dandole un aspetto piuttosto austero. In fondo al viale una meravigliosa villa del Seicento s’imponeva maestosa. Aveva una grande porta in legno scuro riparata da un piccolo tettuccio ad arco e ornata da due magnifici oleandri in vaso molto curati. Una campanella era appesa ad una sottile sbarra metallica che spuntava dall’angolo più alto della porta e una cordicella consunta penzolava ad altezza uomo. Poche spanne più giù un piccolo e moderno campanello di bronzo luccicava sul muro pallido dell’abitazione.
La notte era fresca e l’aria odorava di primavera. Un soffio di vento improvviso fece stringere i due uomini nei loro mantelli mentre continuavano a risalire la strada a passo deciso. Nei pressi della grande villa, illuminata dall’ultimo spicchio di luna, si fermarono. Rimasero per un pò senza parlare, nascosti dall’ultimo salice, il più grande osservando l’antica abitazione che si stagliava solenne contro il cielo indaco. In lontananza solo il rumore della strada.
Diverse paia di finestre occupavano la facciata della casa sensibilmente consumata dal tempo e parzialmente coperta da una rigogliosa edera verde scuro. Il giardino di erba inglese era costellato qua e là da poche piante in attesa dei primi germogli e diversi cespugli di azalea adornavano i lati del selciato che si inoltrava serpeggiando all’interno del parco di fronte alla villa al cui centro zampillava una piccola fontana barocca di pietra grigia. 
“Sei sicuro che sia la casa giusta?” domandò improvvisamente l’uomo sulla destra.
“Sì, ne sono certo. E’ impossibile sbagliarsi. Tra poco sarà qui”.
La notte si fece fredda e stranamente silenziosa e dopo pochi minuti due fari illuminarono la strada e si avvicinarono lentamente.
Una lunga recinzione di metallo scolorito correva lungo l’intera proprietà a proteggere la casa dagli intrusi, ma il grande cancello antico era aperto e l’auto seguì lentamente la strada che portava davanti all’ingresso allargandosi in uno spiazzo ricoperto da piccolissimi sassi bianchi.  Elenie scese senza troppa fretta, pagò il tassista lasciando il resto e si avvicinò alla porta. Si fermò fissando per un attimo la cordicella che ondeggiava leggera sospinta dal vento. Si guardò intorno, titubante. Aveva l’espressione di chi sa che sta per prendere la decisione più importante della sua vita. Non poteva assolutamente sbagliare. Sapeva che era la sua unica occasione per convincere la donna e che solo lei avrebbe potuto farlo. Emily le aveva dato la lettera ed era certa che questa avrebbe aiutato la donna a fare la scelta giusta. Strinse le dita attorno alla carta stropicciandone leggermente il bordo. Non era mai stata così nervosa. Le ruote del taxi slittarono sulla ghiaia e la distrassero dai suoi pensieri. Respirò profondamente e salì i tre gradini che portavano alla grande porta. Con decisione bussò.



Isabell abitava a Villa Regina da sempre. I suoi genitori gliel’avevano lasciata quando, diversi anni prima, avevano deciso di separarsi e, lasciandosi, si erano buttati definitivamente alle spalle la loro vecchia vita a cui niente ormai li avrebbe legati più. Niente tranne Isabell che aveva fortemente voluto tenere la casa in cui era cresciuta e in cui aveva vissuto i momenti migliori della sua infanzia. Erano trascorsi più di dieci anni dalla separazione dei suoi e in quella casa era riuscita ad accumulare tutte le cose della sua vita, comprese due delle più grandi sofferenze che, lei pensava, una donna potesse sopportare: la morte di suo padre e la fine del suo matrimonio.
Viveva sola in quella grande villa ormai da tre anni, da quando il suo ex marito se n’era andato e da quel momento era praticamente scomparsa ogni traccia della presenza di un uomo. Dopo il divorzio aveva deciso con risolutezza che non si sarebbe più presa a cuore un essere vivente al di sopra del metro e venti, per questo  aveva deciso di adottare una gatta. Mia era una bellissima gatta nera dalla razza incerta e dal pelo lucidissimo con striature d’oro rosso e due meravigliosi occhi color smeraldo. Isabell raccontava spesso che, in realtà, era stata proprio Mia a sceglierla e che lei non aveva potuto far altro che assecondarla dato che se l’era ritrovata sulla porta di casa una sera di luglio di due estati prima e da lì non se n’era più andata. Proprio per questo Isabell era sicura che potesse sentire cose che lei non sentiva e che la sua presenza servisse a tenere lontane vibrazioni negative. In compenso aveva scelto lei stessa Napoleone, un meraviglioso cucciolo di pastore australiano che aveva preso al canile della città vicina. L’aveva conquistata immediatamente per quei suoi occhi turchese chiaro e quel nasino rosa pallido. Aveva il pelo chiazzato, bianco e nero, e le zampette rosa come il naso. Le era sempre sembrato un cane molto particolare che ricordava poco le foto di pastore australiano trovate sui libri della biblioteca cittadina. Aveva scoperto solo in seguito che si trattava dell’unico cucciolo nato dall’incrocio fra la madre albina e il padre, stupendo esemplare di pastore con tanto di pedigree. Per questo motivo era diverso dagli altri cani della sua razza e per lo stesso motivo era finito in quello squallido canile, catturando poi la sua attenzione. Uno sguardo sveglio e pieno di energie in mezzo a sguardi spenti e tristi. E in effetti pieno di energie lo era veramente. Nel giro di tre giorni aveva distrutto rispettivamente: due paia si scarpe extra lusso di Gucci, tre cuscini del divano di Mariani e la lampada in carta di riso, regalo di nozze di una lontana parente. Ma la cosa peggiore era che aveva rosicchiato parte del tappeto orientale che sua madre le aveva portato dal suo ultimo viaggio in Egitto. Era certa che per questo Rachele avrebbe potuto ucciderla e che lei avrebbe potuto decidere di far dormire Napoleone in giardino. Ma non lo fece mai perché Napoleone e Mia erano le sue uniche compagnie durante le lunghe sere invernali, quando amava accovacciarsi nella poltrona che era stata di suo padre a scaldarsi al fuoco del caminetto.
Isabell si era sempre considerata una persona tranquilla, dalla vita ordinaria e senza troppe pretese. Le tappe della sua vita avevano seguito un ordine cronologico molto preciso e senza particolari intoppi. Il liceo classico, la laurea in lettere a indirizzo storico, il lavoro alla biblioteca civica della città, il matrimonio e il divorzio. Solo il fatto di non avere avuto figli la turbava profondamente. Alla soglia dei quaranta, pensava che il suo tempo per essere madre fosse ormai scaduto e, considerandosi una donna portata per la maternità, soffriva silenziosamente tale privazione imposta. Cercava allora di pensarci il meno possibile tenendosi impegnata con attività di vario genere. Amava passeggiare, leggere e passare ore intere a cavallo nei boschi vicino alla scuderia che era stata di suo padre. Non si poteva certo dire che vivesse una vita spericolata. Era sicura che ciò che desiderava maggiormente era trascorrere una vita sana ed equilibrata potendo scegliere in ogni momento dove andare e cosa fare nonostante fosse proprio lì, in quella città e in quella casa, che desiderasse vivere.
Quella era una sera in cui si sentiva piuttosto stanca e perciò aveva deciso che sarebbe andata a riposare molto presto. Il vento batteva sulle finestre fiocamente illuminate dalla debole luce della lampada che Napoleone ancora insisteva a mordicchiare. Due ceppi di rovere scoppiettavano nel camino e Isabell decise che avrebbe letto qualche pagina dell’ultimo romanzo della sua scrittrice preferita prima di andare a dormire, seguita naturalmente da Napoleone e Mia. Il tepore della sala da pranzo e la calda coperta in pile però le fecero prendere sonno prima del previsto e, fra avventure strepitose nei meandri della meravigliosa Amazzonia, si addormentò.
In men che non si dica si ritrovò a scalare una ripida parete di roccia che si gettava a precipizio su un’immensa foresta tropicale e subito dopo a camminare su un ponte traballante sospeso sopra un fiume in piena quando all’improvviso un asse si spezzò, il piede scivolò inesorabilmente trascinandola in un volo infinito. Urlava ma la sua voce era come intrappolata nella gabbia delle corde vocali. Poco prima di precipitare in acqua però: TOC TOC. Il suono delle nocche di una mano sbattute contro la porta la svegliarono di colpo.